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Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute.

Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
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giovedì 10 novembre 2011

martedì 27 settembre 2011

venerdì 1 aprile 2011

Due disastri provocati dall’uomo: Giappone e Libia.


di Johan Galtung. Fonte: unimondo

Uomo planetario Madre Terra, arrabbiata o no, ha mostrato la sua forza. Le placche tettoniche del Pacifico si muovono sotto quella del Giappone e gli urti hanno provocato il più grave terremoto della recente storia giapponese, di magnitudine 9.0.

Non inatteso, ma senza essere ancora capaci di prevedere esattamente quando e dove. Sembrano saperlo gli animali, ma con un breve margine d’avviso. Sono stati costruiti, mediante tonnellate e tonnellate di acciaio e cemento, edifici di grande altezza e 55 impianti elettronucleari di basso profilo, capaci di piegarsi come i rami del ciliegio che fanno scivolare via la neve fradicia. Flessibili e robusti. Ovunque edifici che possono oscillare a bassa ampiezza e bassa frequenza, ma alla fine ritti e illesi come prima, eccetto che per le cose cadute da armadi, scaffali e simili.

Edifici che oscillano su terreno oscillante per non esserne spazzati via. Un bel lavoro, fino a un certo punto. Ma gli ammonimenti di coloro che soffrirono il genocidio nucleare in due città, Hiroshima-Nagasaki, caddero nel vuoto. Costruirono quelle centrali per lo più lungo le spiagge per un facile accesso all’acqua del mare per il raffreddamento, ora più che mai necessaria. Questo nel paese che ha dato il nome alla super-onda del mare, tsunami. Ground Zero – una parola che come il terremoto oscura i maremoti – era a 130 Km dalla costa.

Lo tsunami – alto fino a 7 metri e alla velocità di 700 Km/h – ha colpito 650 Km di litorale. Avanzando lentamente, distruggendo tutto sul percorso, uccidendo, demolendo nell’entroterra la città di Sendai da un milione d’abitanti, rifluendo piano, trascinando con sé case, auto, camion, bus, aerei, fabbriche, cadaveri, esseri viventi allo stremo, spezzando ponti e strade e depositando il tutto donde veniva. Torna la calma nel Pacifico, fino alla prossima volta.

giovedì 31 marzo 2011

Boomerang libico per un fragile Occidente.


di Raffaele Sciortino. Fonte: sinistrainrete

È dunque tornata la guerra umanitaria. Entrata nel sistema dell’informazione e di qui nell’immaginario collettivo, non c’è neanche più bisogno di virgolettarla. Ritorna però in un contesto del tutto mutato rispetto agli anni Novanta.

Ieri, sull’onda lunga della caduta del Muro e con la finanziarizzazione in piena ascesa, gli States avevano in mano saldamente l’iniziativa e potevano elargire promesse ai nuovi arrivati nel consesso delle democrazie occidentali. Oggi siamo dentro una crisi globale che è un aspetto dello smottamento profondo e strutturale dei meccanismi di riproduzione della vita sociale complessiva (vedi Fukushima).

L’interventismo umanitario non ha l’iniziativa. La guerra alla Libia è reazione. Reazione alla prima fase della sollevazione araba. Reazione di poteri voraci ma in affanno contro i possibili passaggi di radicalizzazione di un moto ampio e profondo in pieno svolgimento che sta intrecciando, dal basso, istanze di dignità, potere e riappropriazione. E che non ha bisogno di “aiuti” ma piuttosto rimanda un messaggio di possibile costruzione di un percorso comune di lotta e emancipazione.

Confitto di narrazioni

È da questa visuale - rovesciando la narrazione “democrazia”/tirannide o pro/contro Gheddafi - che è possibile sfuggire alla trappola-ricatto del dispositivo Onu “a protezione dei civili” sbandierato dall’”onesto” Napolitano e dalla macchietta Berluska, e all’ipocrita giustificazione dell’intervento da parte di chi voleva mandare i poliziotti francesi contro le piazze tunisine, come Sarkozy, o come Obama si muove con il double standard di sempre rispetto ai governi da sostenere o disarcionare e, ancor più cinicamente, ai morti buoni o cattivi.